L'ISPEZIONE DEL 1583

di Fabrizio Primoli

 

Nei primi mesi del 1583, l'allora Vescovo Giulio Ricci si recò in visita pastorale presso l'Ospizio di Sant'Antonio Abate, assistito dai canonici del Capitolo aprutino. Dell'evento fu redatta apposita relazione, in un misto di latino e di volgare, oggi conservata presso l'archivio della Curia Vescovile.

 

Il testo dà un'idea delle condizioni del complesso nel corso del XVI secolo, denso com'é di particolari annotati con minuzia e dovizia.

 

Il Vescovo volle innanzitutto visitare la piccola cappella interna dell'Ospizio, dedicata a Sant'Antonio Abate: «incipiendo visitatione a digniori, et sic a domo Dei, accesit a visitandum dictam ecclesiam», come riportato nel documento. Successivamente, i visitatori esaminarono il resto della struttura.

 

Questa era a quel tempo posta esattamente di fronte la cappella, dal lato opposto della strada pubblica che conduce alla Porta Melatina. L'ingresso, come riportato nella relazione, era chiuso da una robusta porta in legno: «ad illud acceditur per porta magna que clauditur tabulis et bene manet». Oltrepassata questa, si accedeva ad un atrio lungo diciannove passi e mezzo, largo sei, coperto a volta e pavimentato a mattoni. Ai lati si aprivano due porte.

 

A destra ci si immetteva in una stanza, ugualmente coperta a volta e adibita a magazzino dell'Ospizio. Da questo locale si trovava accesso per una seconda stanza, di più modeste dimensioni e anch'essa coperta a volta, con pareti grezze e munita di inferriate. All'epoca era adibita ad alloggio dell'ospedaliere.

 

Il Vescovo ritenne la prima stanza eccessivamente umida e dotata di poca luce a causa dell'angustia della relativa finestra: dispose perciò l'allargamento di questa e l'apertura di ulteriori due finestre lungo la strada pubblica. In maniera analoga, dispose la realizzazione di altre aperture nella camera dell'ospedaliere.

 

A sinistra dell'atrio d'ingresso si apriva un locale dotato di camino, rischiarato da una bassa finestra chiusa da inferriata. Da questo si accedeva ad una stanza pavimentata in mattoni e coperta con tetto lineare. Anche in questo caso il Vescovo ordinò l'apertura di ulteriori finestre, nonché la sistemazione del camino «dove bisogna».

 

In quest'ultimo locale, si dispose altresì una serie di interventi supplementari: «si copra bene il tetto che non ci piova dentro et si provveda che vi siano quattro letti almeno con le sue coperte, sacconi, lenzola et materassi. Che ogni letto abbia un pagliariccio, un materasso, duj coperte e duj para di lenzola per letto».

 

Altri due locali esistevano al piano terra: in uno di questi era stata scavata nel mezzo una grande fossa, vuota nel momento dell'ispezione del 1583. Era destinata, questa, a cucina per l'ospedaliere e nell'altro locale invece si accedeva ad un modesto cortiletto esterno munito di un pozzo di acqua «sorgente et buona» e, quindi, ad un orto recintato da piante di melograno e da una vite «che fa pergola». Accanto al pozzo esisteva poi un piccolo fondaco adibito a magazzino per l'olio, ma i visitatori dell'epoca non poterono accedervi perché lo trovarono chiuso e non fu reperito il possessore delle relative chiavi.

 

Nel piano superiore vi erano una vasta sala «lunga tredici passi e larga dieci» ed altre stanze adibite a dormitori per gli indigenti ricoverati e a granaio. Tutti i locali erano pavimentati a mattoni ed erano arredati con suppellettili misere e in numero assai scarso. I servizi igienici furono trovati «sistemati in una stamberga posta all'estermità dell'edificio, sopra le mura di cinta della città e che elevava su queste come un torrione».

 

Come accennato nelle pagine precedenti, col passare dei secoli la figura dell'ospedaliere venne progressivamente a scomparire poiché sostituita da appositi delegati del Capitolo aprutino, che aveva poco a poco avocato a sé la gestione diretta della struttura. Al momento dell'ispezione del 1583, figuravano quali delegati del Capitolo i canonici Tommaso Cosmos e Giovanni Forti Stambocco.

 

La relazione si chiude con il breve inventario dei beni mobili di spettanza dell'Ospizio: «quattro lettiere di legno, quattro pagliericci, poche coperte e alcune lenzuola, un tavolo, due botti da vino, cinque caldai di rame, gli arredi sacri per la chiesa» ed altri oggetti di minor conto.

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