OSPEDALE PSICHIATRICO DI TERAMO Storia della Sanità Locale
OSPEDALE PSICHIATRICO DI TERAMOStoria della Sanità Locale

DAL 1584 AL 1810

di Fabrizio Primoli

 

Come accennato in precedenza, la gestione dell'Ospizio di Sant'Antonio Abate restò nelle mani del Capitolo aprutino, che l'aveva progressivamente avocata a sé a seguito della scomparsa dell'originaria figura dell'ospedaliere, per quasi cinque secoli.

 

Non mancarono, tuttavia, episodi di intromissione da parte di autorità esterne e potentati dell'epoca che, a più riprese, tentarono di istituzionalizzare ingerenze esterne al fine di sottrarre ai canonici l'amministrazione dell'Ospizio. Protagonisti di tali azioni furono non soltanto strutture laiche, ma addirittura vicari vescovili.

 

Così lo storico Nicola Palma ricorda uno dei numerosi episodi avvenuti nella metà del cinquecento: i canonici del Capitolo aprutino furono costretti ad avvalersi, a titolo di scudo, dell'antica bolla del Vescovo Niccolò degli Arcioni del 1323 al fine di «difendersi dalle pretensioni dei commendatari e Grandi Abati di Sant'Antonio di Napoli, ed in seguito dall'Ordine Costantiniano loro succeduto, che sull'appoggio di non so quali pontifici ed imperiali diplomi vantavano che a quel Sant'Antonio appartenesse qualsiasi pio stabilimento del Regno che per avventura portasse il titolo del santo anacoreta». La controversia divenne forte a tal punto che il Capitolo aprutino fu costretto suo malgrado per ben due anni, nel 1542 e nel 1543, a versare la somma di «dieci carlini l'anno, a titolo di censo». Soltanto la sentenza emessa il 14 ottobre 1747 dall'Arcivescovo di Tessalonica, «promotore fiscale della napolitana badia», una sorta di arbitro appositamente nominato dal Re per dirimere l'annosa questione, pose fine alla lite «e permise che il Capitolo fosse liberato da ogni molestia per l'indipendente possesso dell'Ospedale».

 

Il 27 maggio 1603, presso la Cattedrale di Teramo e alla presenza dell'intero Capitolo riunito per l'occasione, il notaio Pompeio Giraldi lesse ad alta voce una disposizione firmata dall'allora Vescovo di Teramo, Vincenzo da Montesanto. Con tale provvedimento, recante una serie di dettagliate norme comportamentali e organizzative aventi ad oggetto l'amministrazione dell'Ospizio di Sant'Antonio Abate, il Vescovo si attribuì la sua suprema sorveglianza sul complesso ospedaliero di Porta Melatina e al suo vicario generale concesse la possibilità di ingerenza sugli atti di gestione ad opera del Capitolo.

 

Nel corso dell'anno 1625, l'allora Vescovo effettò una nuova visita pastorale della quale fu redatto verbale: da questo si apprende che all'epoca gli scopi dell'Ospizio erano «far le spese alli pellegrini che ci arrivano, amministrare il vitto alli poveri che ci arrivano, pagari li medicamenti all'infermi di esso ospedale, amministrare le spese alli proietti, seu bastardelli che nascono et sono raccolti alle cave». Essenzialmente fini di carità e di assistenza, quindi, più che di carattere sanitario. Alla luce di ciò, l'Ospizio venne organizzato in tre distinti reparti: un ricovero per i pellegrini e gli indigenti, una sorta di embrionale ospedale propriamente detto e un brefotrofio destinato ad accogliere i bambini illegittimi abbandonati ed affidati quindi alla pietà pubblica. L'assistenza sanitaria dell'epoca, dunque, aveva un significato ben più caritatevole che tecnico.

 

Un nuovo episodio di ingerenza esterna nella gestione dell'Ospizio di Sant'Antonio Abate, come riporta Nicola Palma, si verificò nel corso del XVIII secolo: il Comune di Teramo, sembra con validi appoggi nel Papato e presso la Corte di Napoli, nel 1738 rivolse istanza «alla Sacra Congregazione del Concilio» affinché il complesso di Porta Melatina fosse trasformato in Collegio degli ScolopiiA quell'epoca, uno dei compiti dell'Ospizio era quello di «educare e sostenere dieci proietti, seu bastardi, mascoli sino all'anni otto e ricevere gli infermi poveri e di dar da dormire ai pellegrini per tre giorni ed ancora il vitto, essendo bisognosi e poveri». In particolare, il Comune di Teramo intese far rilasciare ai padri delle scuole interessate la concessione di aprire «nell'Ospedale di Sant'Antonio Abate un collegio per istruire i giovani nelle buone lettere e nel santo timor di Dio». Il Capitolo tuttavia seppre resistere anche a questo ulteriore attacco alle proprie prerogative attraverso la bolla istitutiva del 1323, a firma del Vescovo Niccolò degli Arcioni. Il 18 settembre 1756, il Re Carlo III, risolvendo la questione, respinse la «demandata commutacion» dell'Ospizio in Collegio e stabilì che, «trattandosi di luogo pio meramente ecclesiastico, la volontà del fondatore si avesse ad osservar pienamente».

 

Come sopra anticipato dal Palma, l'Ordine Costantiniano (successore dei Grandi Abati di Sant'Antonio di Napoli) nel 1791 cercò di porre nuovamente sotto la propria dipendenza l'Ospizio di Porta Melatina: a tal fine, fu intimata al Capitolo l'espulsione degli orfani all'epoca ricoverati dal momento che nel Regno di Napoli tutti gli ospedali con il titolo di Sant'Antonio Abate avevano l'unico scopo della cura degli infermi. I canonici furono dunque accusati di aver arbitrariamente alterato le finalità e i principi ispiratori del complesso ospedaliero. Le richieste si spinsero al punto tale da intimare al Capitolo l'apposizione dello stemma dei cavalieri costantiniani al di sopra della porta d'ingresso dell'Ospizio teramano, nonché l'invio all'Ordine di tutti i rendiconti di cassa. Il Capitolo ricorse nuovamente al Re e, ribadendo l'indipendenza già sancita nei confronti dei Grandi Abati (e quindi anche nei confronti dei loro successori), riportò un nuovo successo.

 

 

DAL 1811 AL 1880

di Fabrizio Primoli

 

Il XIX secolo fu foriero di grandi cambiamenti per il Capitolo aprutino e per l'Ospizio di Sant'Antonio Abate. Nel 1811, il Re di Napoli Gioacchino Murat istituì in ogni provincia del Regno una Commissione degli ospizi e di beneficenza, organo di carattere laico, che subentrò d'ufficio nell'amministrazione del complesso ospedaliero teramano. Per la prima volta in cinque secoli di storia, la Chiesa perse le sue prerogative nella gestione dell'Ospizio. Si trattava, in buona sostanza, dell'avvio di una lenta laicizzazione di questa longeva e nobile struttura.

 

Queste le parole che utilizzò Nicola Palma per descrivere gli eventi di quegli anni: «non vi era scudo capace a ritenere la Commissione degli ospizi e di beneficenza dall'invadere l'amministrazione nel 1811. Non si tratta più di un'amministrazione libera e di un rendiconto di buona fede, ma di totale dipendenza dal Consiglio generale degli ospizi e di quel metodo di contabilità più imbarazzante e astruso dell'algebra per chi non vi è iniziato».

 

In questo nuovo quadro legislativo, fu conservata al Capitolo aprutino soltanto la spettanza originariamente prevista dalla bolla vescovile del 1323, ma al posto della «carne porcina» e della «focaccia», venne semplicemente sostituito un esiguo canone in denaro.

 

Quando nel 1816 la dinastia Borbone tornò sul trono di Napoli, un regio decreto ebbe a mitigare le precedenti disposizioni, reintegrando formalmente la Chiesa nella gestione del bene, ma questo purtroppo non valse a restituire al Capitolo le antiche prerogative e gli antichi diritti da sempre esercitati sull'Ospizio di Sant'Antonio Abate: l'amministrazione del complesso, in linea di principio spettante ai canonici aprutini, venne di fatto attribuita al Consiglio generale degli ospizi.

 

Il 28 ottobre 1831, «che per mera coincidenza» come riporta Nicola Palma «coincide con la data della bolla arcioniana di cinque secoli prima», il decreto n. 396 del Re Ferdinando II sancì l'istituzione di due distinti ospedali nella provincia teramana: uno a Teramo e l'altro a Penne. Questo il testo del decreto:

 

 

 

 

 

FERDINANDO II

PER GRAZIA DI DIO, RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE

 

Desiderando ampliare i mezzi di soccorso di ammalati poveri che non possono accogliersi negli ospedali dei capoluoghi delle province;

 

Considerando che in molti capoluoghi di distretti non esistono ospedali di questa specie e per le vicende dei tempi sono caduti in abbandono;

 

Veduto il parere della Consulta dei nostri reali domini al di qua del faro;

 

Udito il nostro Consiglio ordinario di Stato;

 

 

ABBIAMO RISOLUTO DI DECRETARE E DECRETIAMO QUANTO SEGUE:

 

 

 Art. 1 - Saranno stabiliti nella provincia del I Abruzzo Ulteriore due ospedali: uno nel Comune di Teramo e l'altro in quello di Penne, riattandosi i locali che esistono. La dotazione di ciascun ospedale sarà di ducati milletrentadue l'anno per ognuno, onde mantenersi quindici piazze di ammalati poveri dei rispettivi distretti.

 

Art. 2 - I fondi di dotazione di ciascun ospedale verranno prelevati con un ratizzo sulle rendite dei luoghi pii dei propri distretti e d'un supplemento dal ratizzo di ducati quattrocento fatto per l'Ospizio di Sant'Antonio Abate di Teramo fino alla quantità necessaria. Le spese di riduzione dei locali e di primo stabilimento verranno eseguite sulla rendita di un'annata con la prudenza ed economia del Consiglio generale degli ospizi.

 

Art. 3 - Il nostro ministro Segretario di Stato degli affari interni è incaricato dell'esecuzione del presente decreto.

 

                                                                                                                           FERDINANDO

 

 

 

 

 

Alla luce di tale decreto, i canonici aprutini non ebbero altra strada che adeguarsi alle nuove vicende: «questo stato di cose» riferisce il Palma «ha agevolato la rassegnazione colla quale il Capitolo, invitato a consentire che l'amministrazione dell'antico Ospizio Civico si riunisse a quella del nuovo ospedale distrettuale di Penne, dopo aver bene ponderato i termini e lo spirito del regal decreto del 28 ottobre 1831 e di essersi congregato in presenza del Vescovo onde udirne l'autorevole parere, ha dato il richiesto suo assenso, a condizione che fossero conservate le solite funzioni di culto, segnatamente della messa festiva, dell'intervento del Capitolo ai due vesperi e alla messa solenne del 17 gennaio». Tali consuetudini, conservate sino a tempi assai recenti, al punto tale che la futura Congregazione di carità ebbe a corrispondere annualmente uno specifico canone in denaro al Capitolo aprutino, sono purtroppo oggi scomparse.

 

La nuova normativa impose dunque la sostituzione del Capitolo con una Commissione di beneficenza nell'amministrazione dell'Ospizio di Sant'Antonio Abate. Tra il 1831 e il 1860, interventi di ampliamento e realizzazione di nuovi padiglioni determinarono un rapido cambiamento nell'aspetto logistico del complesso ospedaliero di Porta Melatina.

 

Vennero quindi i giorni dell'Unificazione Nazionale: il nuovo Regno d'Italia nacque ufficialmente il 17 marzo 1861. Il mutato quadro statale determinò anche un mutamento legislativo: la legge 3 agosto 1862 n. 753 e la successiva legge 17 luglio 1890 sancirono l'istituzione, in ogni Comune d'Italia, di una Congregazione di carità. Questo nuovo organismo, che prese il posto delle precedenti Commissioni di beneficenza, subentrò nella gestione di tutte le amministrazioni ospedaliere ed assunse altresì la gestione di ogni altra struttura locale destinata all'assistenza e alla beneficenza.

 

Nacque così, in buona sostanza, il concetto di istituzione pubblica di assistenza avente come scopo non solo la cura dei malati, ma anche la vicinanza morale e materiale degli indigenti. Si trattava quindi di un nuovo, timido tentativo di laicizzazione dell'assistenza socio-sanitaria, che comunque rimaneva ancora legata a quei principi caritativi che per secoli avevano ispirato l'azione di ogni attività assistenziale, e di embrionale separazione tra le attività di cura e le attività di supporto morale ed economico ai bisognosi.

 

Sotto la guida di Domenico Savini, che guidò la Congregazione di carità di Teramo dal 1862 al 1870, furono introdotte nell'Ospizio di Sant'Antonio Abate le suore Figlie della carità, che sarebbero poi rimaste in servizio, oltre che nell'Orfanotrofio maschile Savini-Ventili-Ciotti, nel complesso ospedaliero sino alla sua definitiva chiusura nel marzo 1998. Ordine religioso comunque differente da quello delle Suore della carità di Santa Giovanna Antida Thouret, che furono chiamate nel 1845 a gestire l'Orfanotrofio San Carlo, poi divenuto l'attuale Istituto Regina Margherita.

 

Nel 1870 la presidenza della Congregazione di carità venne assunta da Vincenzo Irelli, in passato già Sindaco di Teramo e senatore del Regno. Sotto la sua gestione, fu avviata una serie straordinaria di interventi edilizi che trasformarono profondamente gli spazi dell'Ospizio di Sant'Antonio Abate, definendolo, grosso modo, nella maniera che vediamo oggi. I lavori, iniziati nel 1871, ebbero ad oggetto anche la costruzione dell'attuale Porta Melatina, in sostituzione dell'antica Porta di Sant'Antonio, un tempo situata più a monte, nei pressi dell'omonima chiesa, in maniera tale che vennero ad essere finalmente collegati due padiglioni dell'Ospizio sino ad allora indipendenti.

 

I lavori disposti da Vincenzo Irelli, come si evince dai suoi scritti, furono così concepiti: «Il primo piano, col disterro eseguito, con le finestre da aprirsi e da slargarsi verso il giardino ad oriente, col ritaglio dei due lati settentrionali, diverrà tutto abitabile e capiente almeno di 60 letti. Le quattro camere compite per abitazione delle suore renderanno sgombre quattro camerate al secondo piano, per destinarsi tutte ai malati militari. Il fabbricato addossato alla chiesa, modificato ed ampliato in modo da mettere in mezzo l'arco per l'uscita dalla Città, risulterà una compresa da contenere 20 letti per gli uomini malati civili. Ne risulterà pure la congiunzione interna dell'altro fabbricato appoggiato al mezzogiorno della chiesa suddetta, che trovasi ora distaccato. Il camerino ivi esistente potrà essere provvisoriamente adibito al sifilicomio. Il sottaneo di tal camerino supplirà a tutti gli usi di legneria, di lavatoio di panni. Il camerino e le altre camere al terzo piano sarebbero adibiti il primo per le donne malate, le altre per il baliatico. L'entrone abbellito, il cortile basolato a mattoni, il pozzo d'acqua riformato, la gradinata bene sviluppata e messa a pietra lavorata faranno scomparire l'aspetto di tristezza e di rozzezza per lo innanzi appariscenti».

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