OSPEDALE PSICHIATRICO DI TERAMO Storia della Sanità Locale
OSPEDALE PSICHIATRICO DI TERAMOStoria della Sanità Locale

IL COLLEGIO RAVASCO

di Fabrizio Primoli

 

«Fuori Porta San Giorgio», lungo la strada per Bosco Martese (oggi Viale Cavour), la Casa di cura Villa Maria, in piena attività nei primi decenni del novecento, era un «modernissimo Istituto medico-chirurgico, in vista dei più bei monti d’Abruzzo e fornito di perfettissimi mezzi scientifici». Diretta dal Dott. Beniamino De Nigris Urbani, che era anche proprietario di questo bell’edificio, nonché medico in servizio, sin dal 1905, presso la Congregazione di carità di Teramo, la clinica Villa Maria erogava a «prezzi modici», ma con altissima qualità, prestazioni quali «chirurgia, medicina, raggi X, cure elettriche, cure per le malattie dell’orecchio, del naso e della bocca, analisi chimiche, microscopiche e batteriologiche», con un ambulatorio aperto ai pazienti esterni dalle ore 10 alle ore 12.

 

L'attività della clinica proseguì regolarmente per circa un ventennio, condita anche da qualche polemica con l'Amministrazione comunale del tempo, come nel caso del contenzioso che insorse fra la struttura di Viale Cavour e il Comune di Teramo circa l'applicazione delle tariffe per la fornitura di energia elettrica nel corso dell'anno 1921. A seguito di una fatturazione presumibilmente errata, il Direttore della clinica scrisse il 20 ottobre di quello stesso anno una nota al Sindaco, nella quale da un lato contestava con fermezza la somma richiesta e dall'altro proponeva una sorta di differenziazione tariffaria per i consumi di energia elettrica «a scopo di illuminazione» e quelli «a scopo scientifico». In partcolare, il direttore evidenziò che «il motorino da due cavalli applicato alla pompa per il sollevamento di acqua non agisce che per un massimo di un quarto d'ora al giorno» e a tal riguardo precisò che «il canone dovrebbe essere commisurato all'orario di lavoro». Fece altresì rilevare «che l'energia occorrente per l'apparecchio di radioscopia solo per alcuni istanti raggiunge un elevato amperaggio e non sarebbe quindi giusto che l'apparecchio di misura formasse base della tariffazione del minimo consumo».

 

Questa rinomata clinica privata che si articolava su quattro piani rimase in piena attività sino al 1928, quando, mutato il quadro politico dell’Italia di allora, il Direttore, per sottrarsi alle direttive del regime fascista, preferì chiudere la sua struttura, cessandone l'attività e ponendola in vendita.

 

Nel 1930, in occasione delle nozze del Principe ereditario, Umberto di Savoia, con la Principessa Maria José di Sassonia Coburgo-Gotha, la Congregazione di carità con propia deliberazione decise di istituire un comitato con lo scopo di raccogliere offerte per festeggiare l'evento. Fu proposto dal comitato, dunque, di avviare una raccolta di fondi per istituire un asilo materno da intitolare, per l'appunto, alla Principessa di Piemonte, Maria José.

 

Quale sede di questo servizio fu individuato dal comitato stesso il complesso immobiliare, al momento dismesso e in vendita, che in passato era stato sede della Casa di cura Villa Maria. La Congregazione di carità, con deliberazione del 18 febbraio 1933 n. 54, fece propria tale proposta e recepì i fondi raccolti dal comitato (115.000 lire), ai quali aggiunse proprie risorse (37.000 lire), pervenendo pertanto alla decisione formale di acquistare l'immobile in parola per ospitarvi l'asilo materno e un annesso Brefotrofio provinciale.

 

Dal 27 marzo 1933, con atto di compravendita rogato dal notaio Ascanio Monticelli, l'edificio passò ufficialmente in proprietà alla Congregazione di carità (della quale l'originario proprietario, Benianimo De Nigris Urbani, era peraltro anche dipendente in qualità di medico), sotto la cui gestione già si trovavano l’Ospedale Civile Vittorio Emanuele III, l’Ospedale Psichiatrico Sant’Antonio Abate, l’Ospedale Sanatoriale Alessandrini-Romualdi, l’Orfanotrofio maschile Savini-Ventili-Ciotti, l'Orfanotrofio femminile Caraciotti, la Casa di riposo Caraciotti e successivamente diversi altri istituti sparsi nella Provincia, tra i quali la Fondazione Pasquale Ventilj, che nel comune di Mosciano Sant'Angelo già gestiva l'Orfanotrofio femminile Carolina Ventilj.

 

Una precedente perizia, redatta il 7 giugno 1932 a cura dell'Ing. Alfonso De Albentiis e preliminare alla stesura del suddetto contratto di compravendita, attribuendo all'edificio e al suo giardino il valore complessivo di 233.482,47 lire, così lo descrisse: «situato nella collina a nord-ovest di Teramo, e precisamente in prossimità della strada per Torricella Sicura, con esposizione in pieno mezzogiorno, possiede una superficie di terreno di metri quadrati 2500 circa, tutta circondata da strada. Il fabbricato ha l'ossatura in cemento armato e muratura a mattoni. È costituito da tre piani e 37 vani. La scala è comoda e ampia e ha gradini e pianerottoli in marmo. I pavimenti sono tutti in gettata di cemento alla veneziana, in buone condizioni e perfettamente levigati. La copertura è a terrazza, con sottostante doppia volta in tavelloni e ferri a I con intercapedine di circa 50 cm. La terrazza è munita di ringhiera e ha la superficie di 240 metri quadrati. Sovrastanti alla terrazza vi sono due piccole camere, coperte anch'esse da altra terrazza di 40 metri quadrati di superficie. Gli infissi, tanto di porte che di finestre, sono ottimi. I cessi, le camere da bagno, i gabinetti sono tutti in perfetto ordine. Il riscaldamento è centrale a termosifone. Vi è la distribuzione dell'acqua calda e dell'acqua fredda, la quale viene prelevata, mediante elettropompa Marelli, da un pozzo di acqua sorgiva ed elevata fino ad un serbatoio di 3000 metri cubi, posto alla sommità del fabbricato. Accanto allo stabile vi sono altri locali adibiti a pollaio e legnaia. Tanto il fabbricato che gli impianti sono in ottime condizioni di stabilità e manutenzione, da potersi utilizzare subito, occorrendo insignificanti riparazioni alle vernici e agli intonaci».

 

Da quel momento, l’edificio «fuori Porta San Giorgio» divenne sede del Brefotrofio provinciale di Teramo, amministrato appunto dalla Congregazione di carità e, a decorrere dal 1937, dal nuovo ente Ospedali ed istituti riuniti di Teramo, che venne a sostituire quest'ultima nella gestione degli istituti sottoposti.

 

Al momento dell'acquisto dell'immobile, un sopralluogo condotto dai tecnici dell'ente acquirente, come riportato nella deliberazione della Congregazione di carità del 29 aprile 1933 n. 116, diede conto «degli impianti, degli apparecchi e dei mobili esistenti nel fabbricato» che sarebbero potuti essere utili al nuovo Brefotrofio: si trattava di «apparecchi degli impianti igienico-sanitari in porcellana di Ginori, un'autoclave verticale tipo Mangini, 10 cestelli in rame nichelato per la sterilizzazione del materiale sanitario, uno sterilizzatoredi liquidi fisiologici, 30 colonnine e 14 letti in ferro con rete metallica, 3 tavolinetti da camera, un armadio grande da parete, 2 armadi a vetri, un grosso tavolo di abete verniciato a noce, una scrivania in noce, un appendichiavi in rovere, un nettapiedi a rete metallica, 19 coperte di lana bianca, un tavolo da visita in rovere, un'elettropompa Marelli di 3HP, un contatore elettrico, un'étagère in ferro, un letto operatorio per parto e ginecologia (utile per l'ambulatorio ostetrico), un tavolo speciale per ferri chirurgici e un tavolo a doppio piano per camera operatoria (utili per la camera da parto), una barella in ferro per trasporto interno», tutti in «ottime condizioni».

 

La direzione del Brefotrofio venne affidata al Dott. Beniamino De Nigris Urbani, in precedenza proprietario e direttore della Casa di cura Villa Maria, ora passata, per un curioso intreccio di conflitti di interesse ante litteram, sotto la titolarità della Congregazione di carità.

 

La situazione restò pressoché immutata sino al dicembre 1955, sino a quando cioé il Brefotrofio fu trasferito nella sede dell’attuale Liceo artistico in Via Armando Diaz. Nelle belle stanze della vecchia clinica Villa Maria, ora riadattate per il nuovo uso, vennero quindi sistemate le sale parto, le culle, i lettini, i locali per le nutrici. All'ultimo piano, l'ampia terrazza fu ridotta a seguito della realizzazione di un modulo laterale aggiuntivo, per ogni lato, che si affiancava a quello centrale, dov'era ubicata la scalinata, ampliando così lo spazio coperto a disposizione.

 

In particolare, il Brefotrofio era dotato di una «sala di maternità» nella quale, come i documenti dell'epoca attestano, vi erano «ricoverate le donne nell'imminenza del parto e le donne nubili incinte, prossime allo sgravo, le quali dichiarino di rimanere nell'istituto per l'allattamento del nascituro. Nei casi nei quali appaia giustificato il rifiuto di permanere nell'istituto per l'allattamento, le partorienti nubili vengono egualmente accolte ed assistite sino a che siano in condizioni di poter attendere alle proprie occupazioni». Nell'ambito del Brefotrofio, sempre in base alla documentazione dell'epoca, era presente il servizio di «aiuto materno, sotto la direzione del Direttore del Brefotrofio stesso. Vi viene distribuito latte sterilizzato in bottigliette speciali a quelle famiglie che ne facciano richiesta giustificata». Il Direttore aveva altresì il compito di «visitare i bambini e di dare alle famiglie tutti i consigli che la scienza suggerisce per la cura, il sostentamento e l'allevamento degli infanti».

 

Il verbale di ispezione redatto dal «delegato straordinario della Federazione provinciale di Teramo dell'Opera nazionale per la protezione della maternità e dell'infanzia», dà conto dell'articolazione interna dei locali: al piano terra si trovavano «l'atrio d'ingresso e, a sinistra, la Direzione, l'ambulatorio e la cucina comunicante con l'esterno. A destra vi è il reparto di contumacia, costituito da tre ambienti, oltre ad un corridoio e servizi sanitari indipendenti (lavandini, latrina, bagno), capace di quattro letti ed altrettanti lettini e con disponibilità di una piccola zona appartata di giardino». I locali seminterrati ospitavano «la carbonaia, la caldaia del termosifone e la pompa elettrica per l'approvvigionamento idrico». Al primo piano si trovava «nella sezione sovrastante al reparto di contumacia, il reparto di isolamento costituito da due ambienti capaci di tre o quattro letti ed altrettanti lettini, un ampio corridoio, servizi sanitari indipendenti (lavandini, latrina, bagno). La restante parte del piano, adattata per il reparto gestanti, offre tre bei dormitori per circa dieci letti, un locale di laboratorio, un bel refettorio che per mezzo di una passerella può essere messo in diretta comunicazione con il giardino, servizi sanitari indipendenti». Al secondo piano si trovava «il reparto puerpere, consistente in tre buoni locali per un totale di otto o dieci letti, camera delle culle (dieci culle), camera della levatrice, camera da parto con anticamera di preparazione, egregiamente disposte ed attrezzate, piccola camera per un letto e servizi sanitari indipendenti». Il terzo piano ospitava «due piccoli locali utilizzabili per il personale, adiacenti alla tromba delle scale e al deposito dei cassoni d'acqua. Un vasto ambiente di circa 40 metri quadrati potrebbe essere facilmente ricavato nell'altro lato simmetrico ed assegnato al personale, e chiuso a vetrate per soggiorno dei piccoli nella stagione invernale. In questo piano l'immobile dispone di un'ampia, magnifica terrazza ben esposta, protetta e pavimentata. Altra terrazza più piccola sovrasta i locali qui sistemati».

 

Il regio decreto 16 dicembre 1923 n. 2900, unitamente al regio decreto 8 maggio 1927 n. 798-1102 e al regolamento attuativo del 29 dicembre 1927 n. 2812, stabiliva che qualunque edificio da adibire ad uso di Brefotrofio «deve sorgere in zone tranquille, lontano dai punti di gran traffico, protetto dai rumori e dalla polvere. Dev'essere fornito anzitutto d'un vestibolo, dal quale si passi, attraverso una galleria o antisala, alle sale dove soggiornano i bambini. Questi grandi ambienti debbono essere almeno due: uno per i bambini ancora lattanti e l'altro per gli slattati. In questi locali le madri vengono nelle ore stabilite a dare il latte o a trattenersi con i propri bambini». Le richiamate norme di legge sull’articolazione strutturale dei brefotrofi si adattavano perfettamente a questo edificio.

 

Non mancarono, anche per questo nuovo utilizzo dell'edificio, aspre polemiche con l'Amministrazione comunale, in particolare per quanto riguardava il consumo di acqua potabile. Con una nota del 7 novembre 1933, il Sindaco contestò alla Congregazione di carità la presentazione, sempre più pressante da parte dei cittadini teramani, di «lagnanze per la frequente totale mancanza di acqua nella parte alta della Città, specie lungo il Viale XX settembre», corrispondente all'attuale Viale Francesco Crucioli, proprio nel punto in cui, nel 1931, entrò in funzione il padiglione di Chirurgia del nuovo Ospedale Civile Vittorio Emanuele III. Venne dunque disposta un'ispezione della rete idrica appena realizzata per il servizio al nuovo Ospedale civile, a cura del fontaniere comunale, dalla quale emerse che il nosocomio era «servito da una presa d'acqua attaccata al tubo comunale che si trova lungo il Viale XX settembre». Nella relazione del fontaniere si rilevò inoltre che «sotto il piano di pavimento dello scantinato nel padiglione di Chirurgia esiste un serbatoio della capacità di 60 metri cubi da cui partono due diramazioni: una per il padiglione di Chirurgia e l'altra per il Brefotrofio. A giorni sarà inoltre eseguito l'attacco per il padiglione di Medicina, di prossima apertura». Alla luce di quanto rilevato dal fontaniere, il Sindacò contestò alla Congregazione di carità l'aver «dotato il retrostante fabbricato adibito Brefotrofio, già clinica Villa Maria, di acqua senza richiedere permesso alcuno», esattamente come stava per compiersi anche per «l'altra diramazione a servizio del padiglione di Medicina». La Congregazione di carità, evidentemente infastidita da tali rimostranze, replicò con propria nota del 24 gennaio 1934, nella quale ebbe telegraficamente ad evidenziare che «il consumo dell'acqua, scrupolosamente controllato, è fatto in base all'assoluto necessario».

 

Non tardò comunque la struttura, che aveva già alle spalle decenni di utilizzo quale clinica, ad essere giudicata inadeguata per le esigenze, sempre crescenti, del Brefotrofio. Lo stesso ente Ospedali ed istituti riuniti di Teramo, in particolare, la definì «umida, fatiscente e senza ascensori», alla luce delle finalità ad essa attribuite, ed avviò pertanto lo studio per l'individuazione di una nuova sede del Brefotrofio, la cui attività oramai era davvero in pieno regime.

 

Trasferitosi dunque il Brefotrofio nella sua nuova sede di Via Armando Diaz, nella struttura che oggi ospita il Liceo artistico, l’edificio in questione, in collegamento con la Fondazione Pasquale Ventilj, che già amministrava nel comune di Mosciano Sant'Angelo l'Orfanotrofio femminile Carolina Ventilj, entrambi naturalmente alle dipendenze dell'ente Ospedali ed istituti riuniti di Teramo, divenne nuova sede del Collegio femminile Carolina Ventilj.

 

Con deliberazione del 13 agosto 1946 n. 202, difatti, il consiglio di amministrazione dell'ente Ospedali ed istituti riuniti di Teramo decise autonomamente di istituire questo nuovo Collegio femminile per l'accoglienza di studentesse ed insegnanti non residenti in Città, ponendo lo stesso quale «appendice dell'Orfanotrofio omonimo di Mosciano Sant'Angelo», quest'ultimo eretto direttamente da parte di Pasquale Ventilj ed inserito a pieno titolo quindi fra le opere pie collocate nell'ambito della Fondazione Pasquale Ventilj. Con la medesima deliberazione fu altresì stabilito di intitolare d'ufficio il Collegio alla madre del benefattore moscianese.

 

La prima sede del nuovo Collegio fu individuata dall'ente Ospedali ed istituti riuniti di Teramo in una porzione in disuso del complesso immobiliare sito in Corso di Porta Romana, che ospitava altresì l'Orfanotrofio maschile Domenico Savini. Dal 1946 al 1956, per l'appunto, il nuovo Collegio restò in tale sede provvisoria.

 

La direzione del Collegio fu affidata dal medesimo ente alle suore della congregazione delle Figlie dei sacri cuori di Gesù e Maria, affiliata alla struttura generale degli istituti di educazione (Istituto Ravasco) voluti da Eugenia Maria Ravasco nel 1868. Questa scelta ingenerò un equivoco linguistico che, in parte, perdura ancora oggi: il nome della congregazione delle suore che gestivano il complesso prese, nel linguaggio comune e in quello burocratico formale, il posto della corretta intitolazione del Collegio, che restò dedicato invece a Carolina Ventilj.

 

Il successivo avvento delle suore del Bambin Gesù, che succedettero a quelle del precedente ordine che gestiva la struttura, non ne mutò né la denominazione né la funzione convittuale, come ancora oggi una targa marmorea posta in prossimità dell’ingresso principale ricorda. 

 

Dal 1956, subito dopo il trasferimento del Brefotrofio nella nuova sede, l'Istituto Ravasco fu spostato nel fabbricato di Viale Cavour, liberando i locali di Porta Romana. La struttura, come risulta dalla documentazione dell'epoca, vantava un numero totale nominale di posti pari a 40 unità.

 

Dai dati statistici dell'epoca elaborati e diffusi dagli Ospedali ed istituti riuniti di Teramo, comunque, emerge che negli anni 1957 e 1958 all'interno del Collegio risultavano 34 presenze giornaliere, senza alcuna variazione, nell'anno 1959 ne risultavano 36 e nell'anno 1960 ne risultavano addirittura 60, con un saldo totale in progressivo aumento. 

 

Nuovi lavori e nuovi adeguamenti interessarono quindi l'edificio, che vide inoltre, all'ultimo piano, la realizzazione di un nuovo, ulteriore modulo laterale aggiuntivo, per ogni lato, che si affiancava ai due già presenti, ampliando ancor di più lo spazio coperto disponibile e riducendo ancora l'ampiezza della terrazza.

 

Con l'entrata in vigore della legge 12 febbraio 1968 n. 132, che separò definitivamente le funzioni sanitarie (restate in capo all'ente Ospedali ed istituti riuniti) da quelle socio-assistenziali, l'amministrazione del Collegio confluì all'interno dell'Istituto pubblico di assistenza e beneficenza (IPAB), la cui gestione operativa fu posta dalla legge in capo al Comune di Teramo.

 

Il progressivo ridursi delle collegiali ospiti e la conseguente cessazione del servizio da parte del personale religioso fino ad allora operante nella struttura determinò un grave disavanzo finanziario e la stringente necessità, da parte del Comune, di chiudere definitivamente il Collegio nel luglio 1996.

 

Successivamente alla chiusura del Collegio, l’immobile di Viale Cavour, ormai inutilizzato, rientrò nella piena disponibilità dell'allora ULSS (che dal 1981 aveva preso il posto del soppresso ente Ospedali ed istituti riuniti di Teramo), attuale ASL, che lo detiene ancora oggi e che lo ha utilizzato, in epoca assai prossima a noi, come RSA e comunità protetta sino alla sua definitiva chiusura, nel corso del 2008.

 

Da quel momento, l’edificio che per oltre un secolo, a vario titolo, ha curato, accolto e aiutato tanti cittadini e tanti forestieri, e che oggi molti teramani conoscono semplicemente con il nome di Ravasco, è dismesso e in stato di abbandono. Pochi ne conoscono il pregio architettonico. Pochi hanno notato i bei pavimenti in gettata veneziana e l’eleganza delle ringhiere esterne, decorate con il medesimo stile di quelle che ancora si possono notare sull’edificio dell’Orfanotrofio in Corso di Porta Romana. Pochi hanno avuto modo di osservare l’eccezionale panorama del Gran Sasso d'Italia che si gode dalla terrazza superiore. Pochi ne conoscono la storia e i meriti sociali.

 

Una bella Madonnina in pietra, un tempo illuminata con un’aureola di luci, posta lì nel 1958, in occasione del centenario delle apparizioni mariane di Lourdes, ancora sembra voler proteggere queste mura. Mura che tuttavia esprimono tutta la loro sofferenza per la situazione in cui versa l’intero edificio. Cedevole in più punti, la cinta muraria che circonda il vasto giardino, dove per decenni hanno passeggiato gli ammalati, i bambini, le suore del Bambin Gesù e le loro studentesse, e che ora è totalmente nascosto alla cittadinanza, è stata peraltro di recente ricostruita per intero dalla ASL proprietaria. Sulle scale, sui vialetti, nel giardino e nelle pertinenze della struttura rifiuti e suppellettili varie hanno preso il posto di quelle che per oltre un secolo furono le voci, gli sguardi e le vite dei pazienti, dei bambini accuditi e delle collegiali che vi abitavano.

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