di Fabrizio Primoli
Dopo aver lasciato, come detto, gli antichi ambienti del complesso di Porta Melatina e dopo una breve permanenza provvisoria presso i locali dell'allora collegio della Gioventù italiana del littorio, in Via Taraschi, il cui edificio per l'occasione fu denominato padiglione Santo Spirito, il 10 maggio 1931 fu inaugurato dalla Congregazione di carità il nuovo Ospedale Civile di Teramo. Alla cerimonia, come riportato dal Prof. Antonio Merlini, parteciparono «Sua Eccellenza il Barone Acerbo, l'On. Bacci, Vice Segretario del Partito, le Autorità locali, i Presidi delle quattro Province d'Abruzzo, illustri professori universitari e numerosi medici».
Aggiunse quindi il Merlini, commentando l'evento: «Quest'Ospedale non è che il primo della serie e sarà seguito al più presto dagli altri padiglioni che completeranno l'assistenza sanitaria di Teramo, portandola all'altezza delle migliori d'Italia».
Il complesso è composto da due distinti fabbricati, corrispondenti ai due reparti nei quali era articolata l'assistenza dell'epoca: il padiglione di Chirurgia, realizzato lungo Viale XX settembre (oggi Viale Francesco Crucioli) e sul quale è posta l'entrata principale dell'Ospedale, e il padiglione di Medicina, realizzato dietro al precedente e a questo collegato attraverso un corridoio seminterrato.
Le scalinate dei due padiglioni sono costituite da gradini di marmo bianco. I pavimenti, in gettata veneziana «di eleganti e variati colori», sono muniti di guscio concavo nel punto di incontro con la parete «con grande vantaggio della pulizia e dell'igiene». Uno zoccolo alto 1,60 metri ricopre tutte le pareti ed è costituito da uno spesso strato di marmo-cemento, perfettamente impermeabile, a superficie liscia e inattaccabile dagli acidi.
I pavimenti sono stati realizzati dalla ditta Alessandro Montesi di Senigallia e la zoccolatura in marmo-cemento è stata realizzata dalla ditta Pio Anzaloni di Modena.
Le ampie e numerose finestre sono fornite di infissi con la parte superiore apribile a vasistas, «per il facile e pronto rinnovamento dell'aria negli ambienti».
L'Ospedale, «progettato con serietà di vedute e costruito con ogni scrupolo, risponde bene ai dettami della moderna tecnica igienico-sanitaria. Tutti gli impianti sono stati eseguiti con ogni accuratezza, utilizzando il miglior materiale e sorvegliando anche i minimi particolari».
Per la rete fognaria è stato adottato il sistema della canalizzazione separata per le acque bianche e nere «e si è abbondato nel numero dei gabinetti di decenza, opportunamente distribuiti nei diversi piani e forniti alcuni di vaso alla turca, altri di vaso inglese. Egualmente numerosi sono i lavabi di porcellana, con acqua corrente calda e fredda, e i bagni con vasche di ghisa smaltata». L'impianto per la distribuzione dell'acqua calda ai lavabi e ai bagni consente l'erogazione quasi immediata dell'acqua alla temperatura desiderata e «mediante una speciale rete di tubazioni si è abolito il molesto rumore di gorgoglio che si genera durante lo scarico».
L'impianto di riscaldamento, a termosifone, è stato progettato «in modo che, con una temperatura esterna di -5 gradi, permetta di ottenere una temperatura interna di 16 gradi in tutti i locali comuni, di 20 gradi nei gabinetti di decenza e da bagno, di 25 gradi nelle sale di medicazione e negli ambulatori, di 30 gradi nella camera operatoria». Per quest'ultima e per le sale di medicazione è stato installato un secondo impianto sussidiario a termosifone per il riscaldamento «nelle stagioni intermedie».
Tutti gli impianti sanitari, così come quello del riscaldamento, sono stati realizzati dalla ditta Emilio Adone di Teramo.
Non mancò, tuttavia, qualche polemica con l'Amministrazione comunale, proprio per quanto riguardava il consumo di acqua potabile da parte dei nuovi impianti idrici. Con una nota del 7 novembre 1933, il Sindaco contestò alla Congregazione di carità la presentazione, sempre più pressante da parte dei cittadini teramani, di «lagnanze per la frequente totale mancanza di acqua nella parte alta della Città, specie lungo il Viale XX settembre». Venne dunque disposta un'ispezione della rete idrica appena realizzata per il servizio al nuovo Ospedale Civile, a cura del fontaniere comunale, dalla quale emerse che il nosocomio era «servito da una presa d'acqua attaccata al tubo comunale che si trova lungo il Viale XX settembre». Nella relazione del fontaniere si rilevò inoltre che «sotto il piano di pavimento dello scantinato nel padiglione di Chirurgia esiste un serbatoio della capacità di 60 metri cubi da cui partono due diramazioni: una per il padiglione di Chirurgia e l'altra per il Brefotrofio. A giorni sarà inoltre eseguito l'attacco per il padiglione di Medicina, di prossima apertura». Alla luce di quanto rilevato dal fontaniere, il Sindacò contestò alla Congregazione di carità l'aver «dotato il retrostante fabbricato adibito Brefotrofio, già clinica Villa Maria, di acqua senza richiedere permesso alcuno», esattamente come stava per compiersi anche per «l'altra diramazione a servizio del padiglione di Medicina». La Congregazione di carità, evidentemente infastidita da tali rimostranze, replicò con propria nota del 24 gennaio 1934, nella quale ebbe telegraficamente ad evidenziare che «il consumo dell'acqua, scrupolosamente controllato, è fatto in base all'assoluto necessario».
Dagli scritti in esame emerge altresì l'installazione nel nuovo Ospedale di un apparecchio montavivande, situato nei pressi della cucina del padiglione di Chirurgia, per portare ai diversi piani «i cibi ancora caldi, evitando inutili giri per la distribuzione di essi».
Per il «rapido allontanamento della biancheria sudicia e dell'immondizia» sono state costruite delle botole comunicanti direttamente con l'esterno e con il piano terra, dove si trova il locale di guardaroba, stireria e «rattoppo». Non essendo presente una lavanderia autonoma, il lavaggio della biancheria viene effettuato presso la lavanderia centrale dell'Ospedale Psichiatrico a Porta Melatina.
Riguardo all'illuminazione elettrica, «tutte le condutture sono state fatte sotto traccia e protette da cavi di piombo. Numerosi diffusori, distribuiti opportunamente, illuminano i locali con una luce chiara ed uniforme. Durante la notte viene mantenuta nelle infermerie una tenue e riposante luce verde». L'impianto acustico è costituito da diverse suonerie, anch'esse sotto traccia, accompagnate da segnalazioni luminose «in modo da evitare le lunghe attese degli infermi e costringere l'infermiere di turno alla più assidua vigilanza».
L'impianto elettrico e quello acustico sono stati realizzati dalla ditta Italo Piantini di Teramo (la stessa ditta eseguirà poi, nel 1937, i necessari lavori di collegamento per l'installazione della sirena antiaerea della Città presso la Torre del Duomo).
Nel novero degli impianti non può escludersi, inoltre, quello telefonico: realizzato dalla società Timo, «è dotato di numerosi apparecchi distribuiti negli ambienti principali degli edifici, tenendo conto delle esigenze di tutti i servizi».
L'arredamento è stato interamente acquistato ex novo: letti, comodini, poltrone, tavoli, armadi. «Tutto nuovo e di materiale ottimo, capace di offrire, oltre all'eleganza, la garanzia della lunga durata. Il mobilio ospitaliero è stato fornito, per la maggior parte, dalla ditta Giuseppe Sordina di Padova. Nuovo è perfino il materiale lettereccio: materassi, lenzuola, coperte e federe».
I preziosi scritti del Prof. Antonio Merlini, assieme all'analisi dei verbali redatti a suo tempo dalla Congregazione di carità, ci aiutano oggi a comprendere la struttura e l'allestimento del primo dei due padiglioni di questo nuovo Ospedale, essendo il secondo ancora in costruzione all'epoca della redazione del testo da parte del Merlini stesso.
«L'architettura di questo padiglione» scrive il Merlini a proposito del primo blocco di fabbricati «sobria ed elegante nelle sue grandi masse, ricorda, specialmente nella parte centrale, qualche motivo del tardo Rinascimento che, applicato con senso di modernità, conferisce all'insieme dell'edificio quell'aspetto sereno e maestoso che tanto si addice alle costruzioni ospedaliere».
Il padiglione «è disposto in prima linea parallelamente al Viale XX settembre, dal quale lo dividono un giardino a grandi aiuole e una cancellata in ferro battuto, con quattro ingressi». Di questi, i due laterali sarebbero serviti maggiormente per l'accesso al secondo padiglione mentre quelli centrali avrebbero servito il presente padiglione.
Tale struttura si estende «su un fronte di 85 metri e consta di tre piani: seminterrato, rialzato e primo piano, con l'aggiunta di due sopraelevazioni laterali per gli alloggi del personale sanitario e delle suore. Ha una capacità ordinaria di 86 letti, disposti con larghezza di spazio, che può essere portata agevolmente ad oltre 100 letti in caso di necessità».
Nel piano seminterrato sono posti il «gabinetto radiologico» e l'ambulatorio chirurgico del Pronto Soccorso, collocati rispettivamente a sinistra e a destra dei due avancorpi dell'edificio, aventi ognuno un ingresso secondario. L'ingresso principale, posto al centro della struttura, conduce direttamente al piano rialzato «ed è preceduto da un'ampia scalea e da un arioso ed elegante portico in travertino».
Si trovano nel piano seminterrato, come attestano gli atti della Congregazione di carità, le cucine e la dispensa per i viveri oltre che la legnaia, il deposito del carbone, gli impianti centralizzati di riscaldamento, il serbatoio dell'acqua potabile «con relativo impianto di sollevamento», l'impianto per la fornitura di acqua calda, i quadri di distribuzione dell'energia elettrica, l'alloggio delle infermiere, il deposito del vestiario, «due gabinetti di decenza, dei quali uno con bagno per i malati entranti», una sala di smistamento per i pazienti, l'ambulatorio per le specialità, il refettorio delle suore, una cappella, il guardaroba e il magazzino della biancheria. Stante l'assenza di una lavanderia autonoma, il lavaggio della biancheria viene effettuato presso la lavanderia centrale dell'Ospedale Psichiatrico a Porta Melatina, dove viene quotidianamente condotta, con contestuale ritiro della biancheria pulita.
Al piano rialzato si accede, come detto, attraverso l'ingresso principale o attraverso le due scalinate laterali di servizio. A destra dell'ingresso, entrando dalla porta centrale dell'edificio, «si succedono nell'ordine: la portineria (con centralino telefonico e quadro di manovra dell'impianto elettrico di illuminazione), lo studio dell'aiuto, una camera per i pensionati di prima classe, una corsia per i pensionati di seconda classe con terrazza, una camera per l'isolamento e la stanza per la suora del reparto». A sinistra dell'ingresso «si allineano la sala di attesa, il gabinetto da visita e lo studio del primario. Quindi seguono una corsia di seconda classe con terrazza, una camera per pensionati di prima classe e una camera di isolamento».
Sullo stesso piano, ma nel retro della struttura, sono sistemati «le stanze da bagno, le cucinette dei reparti con l'impianto del montavivande, i gabinetti di decenza con lavabi e orinatoi, la biblioteca e l'archivio, il laboratorio, lo scalone centrale con l'ascensore per le barelle, la sala di medicazione, la sala di operazioni settiche e le due scale di servizio».
Le due corsie principali, ciascuna con 12 letti «per i malatti asettici e per i malati settici», sono poste agli estremi del padiglione. L'intero piano è riservato ai pazienti di sesso maschile, mentre le corsie e le camere per le donne sono collocate al primo piano, al quale si accede dalle due scalinate laterali e dallo scalone centrale.
«Sulla facciata principale dell'edificio e nel mezzo di esso» ricorda il Merlini «si allineano le camere per le pensionate di prima classe, delle quali le tre centrali usufruiscono della luminosa terrazza posta sopra il portico d'ingresso». A destra e a sinistra di questi spazi sono collocate le due corsie di seconda classe, le camere di isolamento, quelle per l'infermiera della sala operatoria e per la suora di servizio. Anche in questo piano le corsie, di 12 letti ciascuna «per le malate asettiche e per quelle settiche», sono poste agli estremi del fabbricato. Sulla facciata posteriore, invece, si trovano le cucinette dei reparti con l'impianto del montavivande, «i gabinetti di decenza, i bagni per le corsie e per la prima classe, il reparto operatorio, le sale di medicazione, le scale di servizio e lo scalone centrale».
Il piano superiore, costituito da due corpi laterali in sopraelevazione ai quali si accede attraverso le due scalinate di servizio, è adibito ad alloggio per le suore nel lato sinistro (dal 1931 al 1957 ospitate invece nel piccolo villino posto sull'attuale Viale Cavour, accanto alla camera mortuaria dell'Ospedale Civile) e ad alloggio per i medici nel lato destro. Ad ognuno di questi alloggi «è annesso un gabinetto con bagno e lavabo».
L'intero piano venne successivamente ampliato, nel 1956, attraverso una sopraelevazione progettata dall'Ing. Ernesto Pelagalli già nel mese di aprile del 1938, portando al medesimo livello i corpi di fabbrica non ancora allineati a quelli già presenti in origine.
Come detto sopra, all'interno del padiglione di Chirurgia è presente un fornito reparto operatorio «che consta di cinque vani, di cui uno costituisce un'anticamera che separa la sala operatoria dal corridoio e dà accesso, a destra, alla camera di preparazione dell'operando e della narcosi, mentre a sinistra alla camera di preparazione dei chirurghi, nella quale sono tre lavabi di maiolica provvisti di acqua calda e fredda e di rubinetti manovrabili col gomito e col ginocchio».
Attraverso due porte laterali, dalle camere di preparazione del paziente e di preparazione dei chirurghi si accede alla sala operatoria vera e propria, mentre una terza porta, centrale rispetto alla parete divisoria con l'anticamera, mette in comunicazione questa con la suddetta sala: «con questa disposizione di aperture si evita, durante le sedute operatorie ordinarie, l'inconveniente dell'incontro del malato che entra con quello che esce già operato».
Alla camera di preparazione dei sanitari segue, e con essa comunica, la camera di sterilizzazione «del materiale occorrente per le operazioni e dei ferri chirurgici». L'arredamento di questo ambiente è stato effettuato ad opera della «ditta Schaerer di Berna, nota in tutto il mondo come casa specializzata in tali costruzioni».
A ridosso della parete divisoria con la sala operatoria sono collocati un'autocolave a doppia parete verticale, con pompa aspiratrice: «pressione di lavoro pari a 2,5 atm; temperatura di sterilizzazione pari a 138 gradi centigradi». Con apposito collegamento di tubi di rame nichelato, vi sono due apparecchi della capacità di 75 litri ciascuno per la conservazione dell'acqua sterilizzata calda e fredda «che viene condotta direttamente alla sala operatoria e qui erogata per mezzo di due rubinetti con campana di protezione».
A destra dell'autoclave, sopra un piedistallo in muratura, vi è una sterilizzatrice rettangolare per ferri chirurgici: «essa possiede un sistema di raffreddamento marginale per evitare che i vapori che si svolgono durante l'ebollizione si diffondano nell'ambiente, oltre ad uno speciale dispositivo a pedale che consente di aprire il coperchio stando nella camera di operazione».
In corrispondenza della citata sterilizzatrice è posta una finestra di comunicazione con la sala operatoria, «finestra che può essere aperta o chiusa mediante un quadro di cristallo che si alza e si abbassa a ghigliottina». In tal modo, l'infermiera «che sta ai ferri» è in grado, dalla sala stessa, di «aprire col pedale il coperchio della ebollitrice dei ferri e, attraverso la suddetta finestra, ritirare direttamente dalla macchina gli strumenti sterilizzati».
La sala operatoria, costruita in un corpo avanzato verso nord-ovest del padiglione, misura 4,30 metri in altezza, 6,30 metri in lunghezza e 4,90 metri in larghezza. Il relativo pavimento è, come quello di tutti gli altri ambienti dell'Ospedale Civile, in gettata alla veneziana con guscio concavo agli angoli di incontro con le pareti. Queste, fino all'altezza di due metri, sono rivestite di uno spesso strato di «marmo-cemento, perfettamente compatto, liscio e impermeabile così da assicurare con facilità la completa pulizia dell'ambiente».
Tutta la parete rivolta a nord-ovest è chiusa, dall'altezza di un metro dal pavimento fino al soffitto, da una grande e doppia vetrata, a vetri trasparenti verso l'esterno e smerigliati all'interno. Al fine di aumentare la luminosità dell'ambiente, nella parete rivolta a nord-est, «la quale è riparata dai raggi del sole del mattino dall'ombra che proietta il resto del padiglione», è aperta una seconda grande finestra con doppia vetrata, a vetri trasparenti all'esterno e smerigliati all'interno, munita di speciale dispositivo per la contemporanea apertura di due dei riquadri della vetrata, uno interno e l'altro esterno, così da permettere l'aerazione della sala operatoria. «Nell'intercapedine di questa doppia vetrata sono convenientemente disposti dei filtri di stoffa, per evitare che con l'aria penetrino nell'ambiente mosche o moscerini e, in parte, anche la polvere».
Sul soffitto, «oltre a quattro lampade elettriche minori poste agli angoli», è installata al centro una grande lampada scialitica «Pantophos Zeiss» per l'illuminazione durante le operazioni «in cavità». Nelle pareti della sala sono altresì distribuite «parecchie prese di corrente elettrica a 125 e a 220 volts, per i motorini degli strumenti per le operazioni sulle ossa, per l'aspiratore di liquidi Atmos, per i termo-cauteri, per la eventuale illuminazione sussidiaria».
La sala è infine fornita di un letto chirurgico «di Hahn-Block a pompa d'olio, corredato di tutti i dispositivi per ottenere le diverse posizioni occorrenti», nonché di tutto «l'ordinario arredamento per operazioni».
Questo settore, come risulta dagli atti della Congregazione di carità, «è allogato in sei ambienti, al piano seminterrato, con ingresso esterno separato nell'avancorpo sinistro del padiglione».
Subito dopo l'ingresso, a sinistra del corridoio, si allineano tre locali: il primo, il più vasto dei tre, costiuisce la sala d'attesa; il secondo ospita i servizi di terapia fisica; il terzo , il più piccolo, funge da «gabinetto fotografico» per lo sviluppo delle pellicole.
La sala di terapia fisica, divisa in tre spazi distinti attraverso «cortinaggi di stoffa», è fornita dell'apparecchio diatermico, della lampada a raggi ultravioletti, «della lampada Sollux per raggi infrarossi e di un apparecchio pantelettrogeno per correnti elettriche galvanica e faradica, nonché per endoscopia».
Nel gabinetto fotografico sono sistemate «le bacinelle verticali per lo sviluppo delle pellicole, la vasca per il lavaggio rapido di queste e un apparecchio per la riduzione su carta dei radiogrammi». Di fronte alla camera oscura, sull'altro lato del corridoio, sono collocati tre ambienti «per la röntgendiagnostica e per la röntgenterapia».
L'ambiente centrale è la cabina nella quale sono installati i due trasformatori ad alta tensione: quello di sinistra serve la terapia e quello di destra serve la diagnostica. I generatori sono separati da una vetrina al di fuori della quale sono i due tavoli di comando degli apparecchi sopra citati.
Una porta piombata e scorrevole su guida metallica, munita di un finestrino con vetro «anti raggi X», chiude la saletta di terapia e permette all'operatore sotto costante controllo il paziente durante la seduta, «restando egli bene protetto dalle irradiazioni e potendo regolare il funzionamento dell'apparecchio».
Sia la camera dei strasformatori, sia quella di terapia sono provviste di «potenti aspiratori Marelli» (azienda che nel 1937 realizzerà anche, per conto del Comune di Teramo, la sirena antiaerea che sarà poi collocata sulla Torre del Duomo) per allontanare dall'ambiente i gas che si sviluppano durante il funzionamento degli apparecchi radiografici.
Il sesto locale costituisce lo studio del radiologo e contiene il relativo archivio, «il quale, come per legge, è provvisto di un armadio metallico per le pellicole, onde evitare pericoli d'incendio dovuti ad un'eventuale combustione spontanea della celluloide. Il grave incendio sviluppatosi per questa causa in America, nell'Ospedale di Cleveland, ha reso necessarie queste misure precauzionali».
«Tutto l'istrumentario radiologico e gli apparecchi di terapia fisica sono stati forniti dalla ditta italiana Rangoni e risultano di ottima costruzione e di funzionamento ideale». Sono capaci di servire in tutti i casi di terapia superficiale e profonda intensiva e rispondono ai dettami della moderna tecnica radiodiagnostica, soprattutto per quanto riguarda la teleradiografia istantanea, fondamentale nella diagnostica delle patologie polmonari.
Il reparto possiede anche numerose ampolle radiogene, fornite quasi tutte dalla ditta Müller di Amburgo «e si è creduto necessario ricorrere in questo caso all'industria forestiera perché la Müller fornisce le migliori ampolle del mercato europeo». Due tubi per terapia superficiale sono stati invece forniti dalla Radiotecnica di Milano. Il trasformatore ad alta tensione per la terapia è un Righi II, mentre quello per la diagnostica è un Righi Standard: entrambi sono stati montati con un particolare dispositivo di interruttori che consente «di far funzionare l'uno o l'altro strumento sia per la diagnostica, sia per la terapia». In tal modo, il servizio non si interrompe in caso di temporaneo arresto per guasto di uno dei due trasformatori.
Nella camera di terapia sono disposti «gli schermaggi con lastre di piombo e malta al bario. Il locale è attrezzato con uno stativo pensile per tubi normali e con un lettino che si presta a qualunque applicazione röntgenterapica». È altresì dotata di due ampolle Müller per terapia profonda Gross Metro e di due ampolle Radiotecnica per radioterapia superficiale.
La camera di diagnostica è attrezzata «con un ortoscopio normale in metallo, un trocoscopio pure in metallo, uno stativo porta-turbi, un potter-bucky scorrevole sotto il piano del letto e munito di un dispositivo elettromeccanico che permette di far funzionare il tubo col movimento della griglia». Completano l'ellestimento un seriografo, un dispositivo metallico per teleradiografia, due tubi Müller autoprotetti, due tubi Müller a fuoco lineare e un negatoscopio biluce per le radiografie stereoscopiche.