di Fabrizio Primoli
Il 16 novembre 1919 il Prof. Guido Garbini, Direttore del Manicomio dal gennaio del 1917, venne trasferito nel Manicomio di Pergine. La sua partenza, alla quale non seguì purtroppo una pronta sostituzione alla guida della struttura ospedaliera teramana, determinò il verificarsi di una situazione di stallo che non pochi danni arrecò ad essa.
Complici gli effetti nefasti derivati dalla prima guerra mondiale appena conclusa, il degrado materiale e organizzativo non tardò a manifestarsi. Gli eventi bellici avevano tra l'altro reso ancor più gravi i problemi gestionali del Manicomio: il sovraffollamento, dovuto anche all'internamento dei militari ritornati dal conflitto con disturbi mentali, i locali fatiscenti, il malfunzionamento dei servizi igienici e la carenza di personale resero estenuante il lavoro dei sanitari e penosa la vita dei ricoverati.
Le funzioni di Direttore vennero nuovamente svolte, in quegli anni di sede vacante e in attesa che la Congregazione di carità bandisse il concorso per l'affidamento formale dell'incarico, dal Dott. Cleto Pierannunzi. Nel frattempo, una serie di relazioni rimesse alla stessa Congregazione da parte del personale medico e del Direttore facente funzione ci danno oggi l'idea della situazione nella quale versava la struttura a seguito della partenza del Prof. Garbini. In una di esse, datata 16 novembre 1920, si legge che «i malati hanno un colorito anemico e presentano una scarsezza notevole del pannicolo adiposo sottocutaneo; i loro abiti cadono a brandelli. Quanto ai locali, vi sono mura cadenti a causa d'infiltramenti di acqua, porte e finestre traballanti. Il Manicomio di Teramo non è più oggi un ospedale, ma qualcosa di molto inferiore al più modesto ricovero di mendicità». L'attività lavorativa svolta in passato dai ricoverati, tra l'altro, venne progressivamente a cessare, così come qualsiasi attività scientifica.
Il concorso bandito dalla Congregazione di carità nel 1923, che porterà alla nomina a Direttore del Prof. Marco Levi Bianchini a partire dal 1 gennaio dell'anno successivo, determinerà finalmente una svolta. Allievo e amico personale di Sigmund Freud, egli guidò il Manicomio teramano dal 1924 al 1931, proprio nell'anno in cui la struttura sanitaria divenne anche formalmente Ospedale Psichiatrico.
Docente di psichiatria presso l'Università degli studi di Napoli, fu anche primario presso l'Ospedale Psichiatrico di Nocera Inferiore e, nel corso dei suoi numerosi viaggi presso diverse strutture per la cura delle malattie mentali in Germania, ebbe occasione di incontrare lo stesso Sigmund Freud, padre universalmente riconosciuto della moderna psicoanalisi. Il confronto con Freud lo portò ad interessarsi con maggior passione alle teorie psicoanalitiche delle quali, nel panorama scientifico italiano, divenne un autentico pioniere. Grazie ai suoi primi testi in materia, le nuove teorie freudiane seppero trovare una via di ingresso nella letteratura medica nazionale, sino ad allora piuttosto refrattaria a questo genere di innovazione. Con il consenso di Freud, tra l'altro, giunse addirittura a tradurre in italiano talune sue pubblicazioni.
Il nome di Levi Bianchini, come si vedrà a breve, rimarrà nei decenni legato così profondamente alla Città di Teramo al punto tale che l'Amministrazione Comunale, negli anni ottanta, decise di apporre una lapide in ricordo della sua persona e delle sue iniziative. Lapide che tuttora è visibile nelle mura esterne del fabbricato principale, accanto alla porta centrale di ingresso.
Sin dal momento del suo arrivo a Teramo, Levi Bianchini seppe suscitare un vasto consenso collettivo e determinò senz'ombra di dubbio un clima di grande attesa verso il suo operato. Nel 1924, per la prima volta, rappresentò a Napoli il Manicomio di Teramo in occasione del Congresso internazionale di filosofia: le sue due relazioni, incentrate sui temi della sociologia e della psicologia-pedagogia, riscossero grande successo e vivo apprezzamento da parte dei congressisti.
La sua Direzione, che come detto seguì un periodo di grande difficoltà per la struttura teramana, riuscì a dare nuovo slancio e nuovo impulso al Manicomio che divenne, per tutto il tempo del suo mandato, punto di riferimento nazionale e addirittura internazionale per le discipline psichiatriche, psicologiche e psicoanalitiche.
Uno dei primi interventi di Levi Bianchini fu la riorganizzazione del personale in servizio presso il Manicomio: l'aumento del numero dei medici andò di pari passo con il potenziamento del numero del personale infermieristico. I primi raggiunsero, oltre al Direttore, le 5 unità; gli infermieri ebbero l'ausilio di 40 unità supplementari.
Nell'ambito delle relazioni con i pazienti, Levi Bianchini proseguì l'opera, già avviata dal Garbini, di progressiva soppressione delle misure coercitive e della contenzione, nonché lo sviluppo dell'ergoterapia e del principio del no-restraint, che venne ulteriormente ampliato.
Parimenti, il Direttore provvide al ripristino della funzionalità dei gabinetti scientifici, dei laboratori, delle officine e, nell'ottica di un continuo aggiornamento professionale dei medici, istituzionalizzò in maniera definitiva la partecipazione del personale sanitario a periodici corsi di formazione. Dispose la riapertura della vecchia scuola professionale per infermieri, già istituita a suo tempo dal Direttore Roscioli e chiusa nel 1915, allo scoppio della prima guerra mondiale. Con determinazione affrontò anche i problemi più urgenti del Manicomio: dalla realizzazione e ristrutturazione dei locali, alla creazione di nuovi ed efficienti laboratori chimici, istologici, patologici e sierologici.
All'interno della struttura istituì anche una straordinaria biblioteca, dotata di più di un migliaio di libri e un numero eccezionale di riviste scientifiche, ricchissima di testi medici anche preziosi e peraltro conservata ancora oggi.
Fu un suo merito indiscusso l'aver saputo instaurare rapporti professionali e umani con i pazienti dei quali prese non di rado a cuore le situazioni personali e familiari. Si prodigò affinché quello che nel frattempo si accingeva a divenire formalmente Ospedale Psichiatrico manifestasse realmente un volto umano: per sua decisione furono bandite stabilmente le cattive maniere verso i degenti, la trascuratezza e la coercizione.
Questo tuttavia non impedì il verificarsi, nel luglio 1924, di un triste fatto di sangue all'interno del nosocomio: come si rileva dalla stampa dell'epoca (Il Popolo Abruzzese del 6 agosto 1924), un tale conte Saladini, «era stato inviato all'Ospedale Psichiatrico di Teramo da uno psichiatra di Roma, non per ricovero ma per una cura privata, con la raccomandazione di tenerlo nella maggiore libertà». Alla luce di ciò, al conte venne «riservata una camera libera e fu posto sotto la vigilanza di un infermiere. Durante il giorno egli era stato tranquillo, come sempre, aveva scritto lettera alla moglie e aveva discusso col Direttore, prendendo con lui appuntamento per una seduta di cura per le ore 18. Poco prima di quell'ora, l'infermiere si era per un momento allontanato per andare a prendere del latte che l'infermo desiderava: poco dopo, essendosi il Direttore recato nelle camere per il solito giro d'ispezione e per la seduta precedentemente fissata, trovò l'uscio chiuso. Fattolo aprire di forza, rinvenne il povero dottore morto da pochi momenti, essendosi strangolato con un asciugamano che aveva attaccato ad un chiodo nel muro. Ogni cura del caso riuscì vana». Si trattò dunque, come riferito dalla stampa locale, «di una decisione istantanea del povero sofferente. Il Direttore denunziò immediatamente il triste caso all'Autorità Giudiziaria, la quale si recò subito sopra luogo». La famiglia della vittima, «che aveva precedentemente sofferto un altro triste consimile evento, ritenne opportuno che non si desse pubblicità al mesto caso e a tal desiderio, molto civile e umano, quasi tutta la stampa di buon animo aderiva».
Le polemiche sulla stampa dell'epoca, che pure ci furono, soprattutto ad opera di un'altra testata locale (L'Italia Centrale del 22-23 luglio 1924 e del 4-5 agosto 1924), furono comunque stemperate dal fatto che il paziente di cui trattasi non si trovava al momento in posizione di ricovero, ma di esterno in attesa di prestazione sanitaria privata.
Levi Bianchini provvide poi a ridisegnare del tutto l'organizzazione interna dell'Ospedale Psichiatrico: furono istituite, oltre alle tre sezioni per uomini, donne e bambini (già esistenti ai tempi del Roscioli e del Garbini), varie sottosezioni nonché nuove sezioni separate, dedicate ad altre patologie sino a quel momento trattate in altra sede.
La farmacologia terapeutica, accanto a quella ipnotica bandita in precedenza o comunque poco sviluppata, registrò un impulso sino ad allora impensabile: narcotici, sedativi e convulsivanti presero progressivamente il posto, parallelamente al rapido diffondersi delle nuove terapie elettroconvulsivanti, dei vecchi bagni tiepidi e degli impacchi caldo-umidi.
Nella sala della biblioteca dell'Ospedale Psichiatrico, Levi Bianchini fondò il 7 giugno 1925 la Società psicoanalitica italiana, ancora oggi in attività, e ne pose la sede a Teramo. La struttura, poi riorganizzata da Edoardo Weiss nel 1932, venne trasferita a Roma dov'é peraltro attualmente. Sua creazione fu anche la rivista denominata Archivio generale di neurologia, psichiatria e psicoanalisi che diresse personalmente ed elevò ad organo informativo ufficiale dell'Ospedale.
Lo straordinario lustro che, in quegli anni, raggiunse l'Ospedale Psichiatrico di Teramo fece in modo che, alla fine del 1925, i degenti raggiungessero il numero di 700 unità. Nell'anno successivo, la cifra aumentò a 800 unità. Al termine del suo mandato da Direttore, nel 1931, si registrò la presenza di 1000 ricoverati, oltre 100 infermieri, 5 medici, diversi inservienti e un discreto numero di collaboratori che prestavano la loro opera nelle officine, nei laboratori e nelle colonie agricole accanto ai degenti. Fu senza ombra di dubbio il periodo più florido che la storia dell'Ospedale Psichiatrico di Teramo ricordi.
La sua partecipazione e la conseguente vincita, nel 1930, del concorso appena bandito per la Direzione dell'Ospedale Psichiatrico di Nocera Inferiore, nel quale decenni prima era stato primario, sancì il termine per Levi Bianchini della sua permanenza a Teramo. Cessò formalmente dall'incarico il 28 febbraio 1931.
Negli anni quaranta, lo scoppio della seconda guerra mondiale determinò nuovamente condizioni socio-economiche precarie e un forte degrado all'interno dell'Ospedale Psichiatrico, la cui Direzione venne assunta dal Prof. Danilo Cargnello, altro illustre psichiatra italiano.
Con la Direzione del Prof. Carlo Romerio, dal 1960 al 1968, si registrò una nuova, forte ripresa dell'attività scientifica: la psichiatria ora poteva contare su una nuova generazione di personale sanitario, motivato e preparato, costituito da medici specializzati che non di rado sperimentarono innovative e più moderne forme di assistenza e terapia. Il volto stesso della scienza psichiatrica, d'altro canto, era in continua evoluzione, di pari passo ai progressi compiuti dalla farmacologia del tempo.
Sotto la direzione del Prof. Carlo Romerio, dall'ente Ospedali ed istituti riuniti fu assunta la decisione di mutare la denominazione dell'Istituto al fine di valorizzarne, anche formalmente, l'aspetto neurologico insieme a quello psichiatrico: sui documenti e sui registri dell'epoca, pertanto, iniziò a risultare, con riferimento alla struttura, la nuova denominazione di Ospedale Neuropsichiatrico di Teramo.
Il decennio successivo rappresentò una svolta operativa per l'Ospedale: nacque difatti il nuovo complesso neuropsichiatrico in località Casalena a Teramo. La nuova costruzione diventò essenziale per fornire dignitosa assistenza ai numerosi pazienti ospitati negli antichi e fatiscenti edifici di Porta Melatina, nei quali, come detto in precedenza, restò dunque la sola popolazione femminile.
Dal 1978, anno di promulgazione della legge 13 maggio 1978 n. 180, che sancì il superamento degli Ospedali Psichiatrici italiani, sino al 1998, iniziò un lento, progressivo cammino che portò alla deospedalizzazione dei numerosissimi malati sino ad allora ricoverati nella struttura teramana. Nel corso del 1995, come risulta dagli atti di diverse ispezioni, una di queste condotta anche dalla speciale commissione d'inchiesta istituita dalla Camera dei deputati, i degenti ancora presenti risultavano essere 250 unità.
Al termine di un non facile percorso di dismissione, così come disposto dalla legge, l'Ospedale Psichiatrico di Teramo chiuse definitivamente il 31 marzo 1998.